Una nuova pagina nella storia della comunicazione è stata scritta. Una pagina che per Rai ha il sapore del fallimento: un chiaro segnale che anche in Italia i tempi sono cambiati.
Che cosa è accaduto? Domenica 13 dicembre, Report la celebre trasmissione di Milena Gabanelli manda in onda su Rai tre “La trattativa”, inchiesta sull’ipotesi di una maxi-tangente tra Italia e Nigeria gestita da Eni.
Mentre il servizio viene trasmesso, autori e registi sono cullati dalla tradizionale e confortevole culla del mezzo televisivo, che nasce per confezionare ad hoc il proprio messaggio, studiando più di quanto non traspaia abitudini e fruizioni del pubblico.
E qui scatta la scintilla.
Eni apre le porte di Twitter e trova terreno fertile e senza difese per il contrattacco: lancia un Tweet che rimanda ad una sua “contro inchiesta”, confezionata rispondendo alle domande inviate da Report ad Eni. Infografiche, foto, approfondimenti: i tweet propongono collegamenti alla contro-informazione.
Così avviene il ribaltamento: la contro-informazione non è più quella di Report ma quella che dovrebbe essere la comunicazione “istituzionale” dell’azienda di Stato.
E’ l’apoteosi del brand journalism.
Seguono un’ora di Tweet della società che portano per la prima volta i telespettatori italiani a vivere un programma nella crossmedialità, alternandosi fra due schermi e due versioni dei fatti.
Una mossa che nessuno si aspettava: le risposte della redazione di Report tardano ad arrivare e quando arrivano perdono contro la prontezza del team comunicativo di Eni.
L’obiettivo di Eni è raggiunto, interferire nel messaggio televisivo prima che l’opinione si cristallizzi, offrendo un punto di vista alternativo.
Il potere decisionale nell’era social è in mano agli spettatori: abbiamo visto programmi portati in alto dai cinguettii della rete (emblematico il caso di “Vieni Via con Me”), oppure stroncati implacabilmente alla prima pausa pubblicitaria.
Dall’avvento di Twitter e Facebook i mezzi di comunicazione tradizionali hanno dovuto stravolgere il loro modo di pensare il proprio messaggio e la propria audience, sempre più smart e sempre più social.
Non esiste più il solo mezzo televisivo, radiofonico o stampa. La gente è abituata a fruire qualunque contenuto accompagnata da uno dei tanti device collegati alla rete, è diventata padrona dell’informazione consapevole.
Quello che è successo durante la puntata di Report non è stato uno stravolgimento della comunicazione è stato comprenderla e adoperarla al meglio nella gestione del crisis management come già avviene da anni in altre grandi realtà comunicative oltreoceano.
L’assurdità, tutta italiana, è che a leccarsi qualche ferita sia la più grande azienda televisiva pubblica italiana.